“È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che poi è qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi”.
don Pino Puglisi
venerdì 15 gennaio 2010
lunedì 11 gennaio 2010
Accursio Miraglia "Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio"
il boss Vito Genovese con la divisa dell’esercito americano insieme a Salvatore Giuliano
Tanti ma tanti anni fa (ma questa non è una fiaba e non ha un lieto fine) , nel gennaio, il 4 gennaio, del 1947, davanti alla porta di casa, di un paese della Sicilia (amara terra mia, amara e bella), a Sciacca, morì un uomo che diceva di sè una frase ripresa da Hemingway: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”.
E, in effetti, in ginocchio Accursio non visse mai!
Erano quelli anni duri, anni di ferro e di fuoco, s’era da poco usciti dalla guerra e l’Italia aveva conosciuto l’orrore dell’invasione e della guerra civile. Si aveva una gran voglia di cambiar pagina, o almeno alcuni avevano voglia di cambiar pagina.
Nel sud c’era stato lo sbarco degli anglo-americani e l’armistizio di Cassibile e da allora gli uomini di cosanostra avevano preso il controllo della situazione
Scrive Lupo “La storia di una mafia che aiutò gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky Luciano propose ai servizi segreti della marina americana per far cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione “Husky”. Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini d’oltreoceano”. [13]
Se l’ipotesi che gli “amici degli amici” abbiano avuto un ruolo decisivo nello sbarco angloamericano in Sicilia è da scartare, è tuttavia innegabile che gli alleati si servirono dell’aiuto di personaggi del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo per mantenere l’ordine nell’isola occupata e il boss americano Vito Genovese, nonostante fosse ricercato dalla polizia statunitense, divenne l’interprete di fiducia di Charles Poletti, capo del comando militare alleato.(vedi qui)
In quegli anni in cui il nord sognava una ricostruzione benedetta dal “vento del nord”, il sud sperava in una concreta riforma agraria, benedetta dai “decreti Gullo”.
Miraglia, che apparteneva alla piccola borghesia ( aveva impiantato una piccola attività industriale di conservazione del pesce), aveva fama di benefattore (e non a parole: fece restaurare a proprie spese di una parte dell’orfanotrofio e aiutava concretamente le orfanelle del Boccone del Povero donando generi di prima necessità). Voleva aiutare i contadini vessati dai gabelloti e dai baroni, creando, tra l’altro la prima Camera di lavoro siciliana e la cooperativa “Madre Terra”, chiedendo l’attuazione dei decreti Gullo che destinavano alle cooperative i terreni incolti dei latifondi. Era anche presidente stimatissimo dell’ospedale di Sciacca.
Ebbene Accursio Miraglia morì in piedi: fu ucciso quella sera del 4 gennaio del 1947, mentre stava rincasando, proprio sulla porta di casa. Era un benefattore Accursio Miraglia, ma soprattutto era un nemico di quei latifondisti che sapevano che in Italia tutto cambia perchè nulla cambi e i “decreti Gullo” sarebbero tramontati, come tanti altri sogni. Dunque, un uomo integerrimo come Accursio, che lottava per la povera gente, era un fastidio da eliminare.
La mafia del tempo era infatti il braccio armato dei latifondisti presenti sul territorio. I baroni vivevano invece nelle città e poco si interessavano delle loro terre e della difesa dei feudi. Per tutelare i loro patrimoni allora i proprietari terrieri si servivano di gente, brava più con il fucile che con le parole, che stava sul posto e di fatto gestiva tutto. I mafiosi diventarono così amministratori, campieri, gabelloti e alla fine si impadroniranno di tutto. Mentre ad esempio Luciano Liggio diventa amministratore del feudo di Strasatto, il nostro Carmelo di Stefano, boss di Sciacca, diventa gabelloto del cavalier Rossi e della baronessa Martinez.
Epilogo: i funerali di Accursio Miraglia non avvennero in chiesa, vi furono solo delle esequie civili, perchè i preti dissero che un uomo ch’era morto ammazzato non aveva diritto ai funerali religiosi (così la vittima era equiparata all’assassino, ma poi s’erano scordati di che morte è morto Gesù). La popolazione tributò ad Accursio solenni onori per sei giorni. La famiglia di Accursio, la moglie Tatiana, russa, che non aveva nessuna esperienza negli affari, fu aiutata dai pescatori di Sciacca che portavano a lei il pesce più fresco per la sua industria di conservazione del pesce. Gli esecutori del suo assassinio furono ben presto trovati, confessarono e successivamente ritrattarono e non furono mai puniti. La bara di Accursio Miraglia, che non aveva ricevuto le esequie religiose, fu portata a spalla dai contadini dalla Camera del lavoro fino al cimitero. Appena giunti al camposanto la grigia giornata donò qualche goccia di pioggia e un contadino presente esclamò: “Un ti voseru benediciri l’omini, ma ti binidiciu Diu”.
Vedi anche Blunotte “Terra e libertà. La morte di Miraglia, Rizzotto e Carnevale”
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