C’era una volta un personaggio dal cuore grande…. E sì, potrebbe cominciare così come una leggenda, come una fiaba senza lieto fine, come “nu cuntu sicilianu” e di personaggi belli per fare u cuntu in Sicilia ce ne sono, non tantissimi, ma ce ne sono.
Sono, i protagonisti di questi cunti siciliani tutti degli eroi, senza macchia e senza paura, non incoscienti, ma coraggiosi, perché lo sanno che fine faranno, eppure continuano, proprio perché questi personaggi dei cunti sono eroi veri e non sopportano le ingiustizie, non sopportano che i più deboli, quelli che nessuno considera, quelli che la protervia dei “bravi” siciliani considera “nuddu ammiscati cu nenti”, debbano patire l’ingiustizia, debbano vivere nella miseria più nera e disperante. Ce ne sono in Sicilia di eroi fatti così,qualcuno si chiamava Giovanni, qualcun altro si chiamava Paolo, un altro Accursio, uno Pio, uno, antichissimo, avvolto nella leggenda, o forse egli stesso leggenda, Colapisci (Nicola Pesce). Oggi vi voglio parlare di un eroe siciliano, che i siciliani, gran parte di essi, non conoscono.
Placido si chiamava, e forse avrebbe amato vivere placidamente, ma ancor di più amava vivere in uno stato giusto, in una terra bella, come la Sicilia è, ma non disgraziata. Durante la resistenza aveva combattuto contro le forze naziste che tenevano in scacco il nostro paese. Poi, tornato nella sua terra, a Corleone (eh sì anche a Corleone nascono le persone per bene) divenne segretario della camera del lavoro ed organizzò i contadini per cercare di rendere concreti quei Decreti del ministro dell’agricoltura Gullo, che prevedevano una distribuzione ai contadini delle terre dei latifondi lasciati incolti.
Ma i proprietari di quei latifondi, alleandosi con la mafia attraverso i loro gabelloti, reagirono con vari forme di illegalità, arrivando anche agli omicidi. E tanti furono in pochi mesi i sindacalisti uccisi.
E poi… e poi toccò a Placido, che lo sapeva che l’avrebbero ucciso, ma non si tirò indietro.
La sera del 10 marzo, proprio come oggi, di 62 anni fa, Placido fu affiancato da alcuni uomini che lo portarono in aperta campagna e lo uccisero, facendone sparire il corpo in un inghiottitoio, una foiba della zona, Roccabusambra si chiama. E da allora Placido si trova lì, difficile il recupero del cadavere, solo parte del corpo è stata portata fuori.
Ma pur in quella immonda sepoltura, insieme alle carcasse di pecore e di altri animali, Placido Rizzotto, il paladino di una Sicilia più giusta ci parla, se vogliamo ascoltarlo. Placido, che non ha mai avuto giustizia, Placido, che tanti hanno dimenticato, Placido vuole insegnare agli uomini ed alle donne di buona volontà quelle parole di un antica poesia popolare siciliana:
Un servu, tempu fa di chista chiazza,
ccussi priava a Cristu e cci dicia:
“Signuri! U me patruni mi strapazza!
Mi tratta commu ‘n cani ‘nta la via;
tuttu si pigghia ccu la so manazza
macari a vita e dici ca nun è a mia.
Si ppò mi lagnu cchiù peggiu mi minazza,
a bbastunati mi lliscia u pilu e m’impriggiunìa.
Quindi, ti pregu, chista mala razza,
distruggila tu, Cristu, ppi mia!
“E ttu, forsi hai ciunchi li brazza?
Oppuri l’hai ‘nchiuvati commu a mia?
Cu voli a giustizzia si la fazza
Né speri c’autru la faria ppi tia.
Si ttu si omu e nun si na testa pazza,
metti a fruttu sta sintenzia mia:
iu nun saria supra sta cruciazza
S’avissi fattu quantu dissi a ttia”.
mercoledì 10 marzo 2010
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