
Salvatore Giuliano non si rese conto di essere una pedina in mano alla mafia, che lo usava ma che l'avrebbe scaricato accollandogli tutte le colpe. In ogni caso il suo destino era segnato: doveva morire perché sapeva troppe cose. Durante l'ultima fase del conflitto, mentre nella Sicilia povera e disperata si era avviata la lucrosissima attività del "mercato nero", alcuni possidenti e massari tentavano di sottrarre il grano all'ammasso, cioè sottraevano il grano ai disperati che non avevano di che mangiare a sufficienza, per dare vita a una forma di mercato fuori dalle regole di emergenza. Il giovane Giuliano stava, dunque, portando farina al mercato nero, quando fu fermato ad un posto di blocco dai carabinieri. Istintivamente il giovane, "spertu e malandrinu", sparò, uccise un carabiniere e fuggì dandosi alla macchia. Il fuggiasco, che aveva molti sostenitori al paese, riuscì a dar vita ad una banda, legata alla sua figura di capo invincibile e carismatico e sostenuta da tutto il paese di Montelepre, che vedeva in lui un novello Robin Hood, un giustiziere che attaccava le forze dell'ordine e le sezioni comuniste, uccidendo, tra l'altro, mafiosi di rango come Sant



Ma Giuliano, dopo questo fatto su cui si addensano scure nubi, capì d'essere diventato una pedina in una tragedia più grande di lui, mentre la parte di protagonista era tenuta da personaggi ambigui, "border line" e, soprattutto, potentissimi. Ed allora scrisse ai giornali di avere un "Memoriale sui fatti di Portella della Ginestra". Nell'agosto del '49 era stato mandato in Sicilia, con l'incarico di liquidare Giuliano, il colonnello dei carabinieri Ugo Luca. Giuliano era fra i pochissimi a sapere chi gli aveva ordinato di sparare sui contadini a Portella, e forse poteva dire delle cose assai più compromettenti. Quando nel '54 al processo su quei fatti Pisciotta disse che avrebbe fatto dichiarazioni a proposito di quanto era accaduto, fu avvelenato con un celebre caffè alla stricnina, prima che potesse concretizzare con l'ufficialità tali affermazioni, proprio dentro il carcere dell'Ucciardone.
Ma prima d'essere ucciso Giuliano capì d'essere stato scaricato e pensò alla vendetta: voleva rapire Bernardo Mattarella, allora sottosegretario del ministero dei Trasporti, voleva prendere don Calò Vizzini, e a quel punto parlò del memoriale. Ma la mafia arrivò prima e, nonostante gli avvisi datigli dal funzionario di PS Ciro Verdiani, "Guardati da tuo cugino", ed avendo compreso che quelli di Giuliano erano bluff, insieme ai suoi alleati decise di eliminare alla radice il problema, e Giuliano non potè evitare d'essere ucciso. Sicuramente Giuliano era guardingo e per eliminarlo furono incaricati uomini delle forze dell'ordine, polizia e carabinieri, di notevole prestigio, uomini che provenivano da una sorta di servizi segreti, alcuni di essi avevano lavorato con il prefetto Mori, e al tempo erano al servizio del Ministero degli Interni, presieduto dal ministro siciliano Scelba. Il 4 luglio del '50, con una messinscena che avrebbe dovuto accreditare un conflitto a fuoco con i carabinieri, venne trovato crivellato

Strana morte quella di Salvatore Giuliano. Da notare che, colpito alla schiena, il sangue inzuppa in modo anomalo la canottiera. Altra cosa strana è data dal fatto che in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine Giuliano non avrebbe avuto solo la canottiera, ma sarebbe stato vestito. Ciò dimostra che la morte di Giuliano è avvenuta ad opera di qualcuno vicino a lui al chiuso di una casa.