sabato 15 novembre 2008

Salvatore Giuliano


Salvatore Giuliano non si rese conto di essere una pedina in mano alla mafia, che lo usava ma che l'avrebbe scaricato accollandogli tutte le colpe. In ogni caso il suo destino era segnato: doveva morire perché sapeva troppe cose. Durante l'ultima fase del conflitto, mentre nella Sicilia povera e disperata si era avviata la lucrosissima attività del "mercato nero", alcuni possidenti e massari tentavano di sottrarre il grano all'ammasso, cioè sottraevano il grano ai disperati che non avevano di che mangiare a sufficienza, per dare vita a una forma di mercato fuori dalle regole di emergenza. Il giovane Giuliano stava, dunque, portando farina al mercato nero, quando fu fermato ad un posto di blocco dai carabinieri. Istintivamente il giovane, "spertu e malandrinu", sparò, uccise un carabiniere e fuggì dandosi alla macchia. Il fuggiasco, che aveva molti sostenitori al paese, riuscì a dar vita ad una banda, legata alla sua figura di capo invincibile e carismatico e sostenuta da tutto il paese di Montelepre, che vedeva in lui un novello Robin Hood, un giustiziere che attaccava le forze dell'ordine e le sezioni comuniste, uccidendo, tra l'altro, mafiosi di rango come Santo Flores e aggredendo colonne dell'esercito. Era una specie di "bandito politico", anche se sembrava non avere una chiarezza strategica o obiettivi politici. E lui, il bandito di Montelepre, giovane, belloccio, arrogante ed imprendibile era una sorta di bandito dai nobili intenti che credeva veramente che il suo fosse un ruolo politico di primo piano e che la sua banda potesse diventare un esercito capace di fare la guerra allo Stato d'Italia. Intanto su scala nazionale le cose stavano rapidamente mutando: la monarchia era caduta con il referendum istituzionale ( che vedeva per la prima volta anche le donne protagoniste dell'elettorato attivo) e soffiava "il vento del nord". Con l'accordo dei latifondisti, già alla fine della guerra in Sicilia, si era ricostituito il presidio dei campieri con il compito di controllare i banditi, ma soprattutto il movimento contadino che ancora una volta sperava in un concreto cambiamento e in una vera riforma agraria. E la lista dei sindacalisti assassinati si allungava paurosamente in questo dopoguerra. Tre nomi per tutti: Accursio Miraglia, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, tutti ammazzati, ma giustizia non è mai stata fatta. Calogero Vizzini, don Calò, consigliò al movimento separatista di contattare Giuliano, promettendogli un ruolo di primo piano, forse ministro del nuovo governo separatista, ma, intanto, quello di colonnello dell'EVIS. Ma già la storia accelerava il suo cammino e nel 1946 il nuovo governo italiano concedette l'autonomia alla regione siciliana e l'indulto per i partecipanti dell'esercito dell'EVIS. E Giuliano perdette il suo ruolo, non c'era più un piano e stringeva i rapporti con la mafia di cui era diventato il braccio armato. E qui il quadro assunse colori foschi e il panorama diventò nebulotico: Giuliano, braccio armato della mafia si incontrò in più momenti con uomini delle istituzioni, come l'alto funzionario di PS Ciro Verdiani e il procuratore generale Emanuele Pili, come pure l'ispettore polizia Messana, e gli incontri sono visite amichevoli. Pisciotta, luogotenete di Giuliano, urlerà al processo di Viterbo che lo vede in gabbia con altri componenti minori della banda Giuliano, ormai morto: "Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito santo". E nel '47, dopo al vittoria delle sinistre alle prime elezioni regionali siciliane, a Giuliano viene fatta una promessa: un lasciapassare per l'America in cambio di PORTELLA DELLA GINESTRA (1° maggio 1947) http://www.misteriditalia.com/giuliano/strage-portella/
Ma Giuliano, dopo questo fatto su cui si addensano scure nubi, capì d'essere diventato una pedina in una tragedia più grande di lui, mentre la parte di protagonista era tenuta da personaggi ambigui, "border line" e, soprattutto, potentissimi. Ed allora scrisse ai giornali di avere un "Memoriale sui fatti di Portella della Ginestra". Nell'agosto del '49 era stato mandato in Sicilia, con l'incarico di liquidare Giuliano, il colonnello dei carabinieri Ugo Luca. Giuliano era fra i pochissimi a sapere chi gli aveva ordinato di sparare sui contadini a Portella, e forse poteva dire delle cose assai più compromettenti. Quando nel '54 al processo su quei fatti Pisciotta disse che avrebbe fatto dichiarazioni a proposito di quanto era accaduto, fu avvelenato con un celebre caffè alla stricnina, prima che potesse concretizzare con l'ufficialità tali affermazioni, proprio dentro il carcere dell'Ucciardone.
Ma prima d'essere ucciso Giuliano capì d'essere stato scaricato e pensò alla vendetta: voleva rapire Bernardo Mattarella, allora sottosegretario del ministero dei Trasporti, voleva prendere don Calò Vizzini, e a quel punto parlò del memoriale. Ma la mafia arrivò prima e, nonostante gli avvisi datigli dal funzionario di PS Ciro Verdiani, "Guardati da tuo cugino", ed avendo compreso che quelli di Giuliano erano bluff, insieme ai suoi alleati decise di eliminare alla radice il problema, e Giuliano non potè evitare d'essere ucciso. Sicuramente Giuliano era guardingo e per eliminarlo furono incaricati uomini delle forze dell'ordine, polizia e carabinieri, di notevole prestigio, uomini che provenivano da una sorta di servizi segreti, alcuni di essi avevano lavorato con il prefetto Mori, e al tempo erano al servizio del Ministero degli Interni, presieduto dal ministro siciliano Scelba. Il 4 luglio del '50, con una messinscena che avrebbe dovuto accreditare un conflitto a fuoco con i carabinieri, venne trovato crivellato di colpi, pare, ad opera di Gaspare Pisciotta, il cugino luogotenente.
Strana morte quella di Salvatore Giuliano. Da notare che, colpito alla schiena, il sangue inzuppa in modo anomalo la canottiera. Altra cosa strana è data dal fatto che in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine Giuliano non avrebbe avuto solo la canottiera, ma sarebbe stato vestito. Ciò dimostra che la morte di Giuliano è avvenuta ad opera di qualcuno vicino a lui al chiuso di una casa.

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