sabato 25 luglio 2009

Mafia ed economia

Lavoro di ricerca di Gaetano Di Stefano

L'impatto che la presenza criminale ha oggi sulla vita economica dell'isola sembra essere fondamentalmente legato all'attività criminale di base dei gruppi mafiosi: il pizzo
. Gli esperti concordano infatti che tra le varie tipologie di attività illecite che hanno un impatto negativo sull'economia della regione, prima in ordine d'importanza risulta essere l'attività estorsiva, seguita da usura, traffico e spaccio di droga, commercio di armi, rapine.

L'usura è una relativa novità per le organizzazioni mafiose occidentali. Questo "mestiere" non era considerato degno di un uomo d'onore, e spesso i boss, secondo una politica di tipo populistico difendevano le vittime dell'usura esercitando pressioni sugli usurai. Oggi, elementi anche di spicco di Cosa Nostra si dedicano a questa attività, che può anche associarsi ad operazioni di riciclaggio di capitali sporchi. Usura ed estorsione rappresentano fenomeni di fatto incontrastati (se si esclude la reazione pressoché autogestita rappresentata da alcuni comitati antiracket dei commercianti, prevalentemente attivi nelle province orientali, e la recente creazione da parte dello stato di una nuova figura: il commissario Nazionale Antiracket), che hanno nel corso del tempo deformato i mercati locali:

  • la prima rappresenta spesso il primo passo per processi di controllo sulle attività produttive, che portano poi all'acquisizione forzata delle imprese da parte della mafia, imprese che vengono quasi sempre governate tramite prestanome;

  • la seconda apre un canale di comunicazione tra imprenditore, piccolo o grande che sia, e mafioso, tramite il quale l'operatore economico privo di scrupoli può entrare in un rapporto di collaborazione con la famiglia mafiosa, ricavandone in cambio benefici finanziari come forniture, appalti, posizioni di rendita, favoritismi da parte di pubblici amministratori e concessioni.

Per quanto riguarda le forme di controllo criminale sull'economia, esse si estendono a gran parte del sottosistema economico legale che ,spesso, esercita funzioni di copertura. Il settore più coinvolto è quello delle opere pubbliche, nel quale si registra comunque un'evoluzione. Il passato, anche recente, era caratterizzato dalla fortissima presenza delle forme di intermediazione criminale tra enti locali ed imprese e tra le imprese ed il mondo criminale minore. Di questa intermediazione neanche le grandi imprese del Nord appaltatrici di molte opere pubbliche in Sicilia hanno mai voluto fare a meno, e non solo per timore di attentati mafiosi in caso di resistenza, ma anche perché l'entrata nelle cordate politico-mafiose garantiva la certezza dell'acquisizione degli appalti.
Dopo lo scossone politico del 1993, dopo le stragi del '92, che colpirono i giudici Falcone e Borsellino, e le vicende giudiziarie di Mani pulite, che determinarono la fine della cosiddetta Prima Repubblica, con
la formazione di nuove giunte comunali e provinciali, vi furono novità significative sul fronte degli appalti pubblici. Gli appalti chiusi, le procedure di certificazione delle imprese, il ricorso limitato, o in alcuni casi nullo, a forme di trattativa eccessivamente discrezionali come la licitazione privata, ecc. hanno contribuito a far compiere grandi passi avanti in termini di trasparenza e regolarità. Si deve, inoltre, tener conto dell'impatto sulla situazione siciliana della politica di rigore determinata dai cambiamenti politici nazionali, che, riducendo le risorse a disposizione, ha ulteriormente contribuito a rendere questo settore meno appetibile per la mafia. Vi è però chi ritiene che il controllo sulle commesse pubbliche sia ancora diffuso, anche se in maniera minore che in passato; certo esso è meno plateale e diretto, in quanto si ricorre a forme di camuffamento (subappalti, partecipazioni a "scatole cinesi", costituzione di società "pulite" ad hoc). Vi è inoltre un meccanismo che può scavalcare la vigilanza esercitata anche dai più rigorosi e ben intenzionati pubblici amministratori, ovvero quello della cosiddetta "turnazione". Esso si basa su un accordo tra i vari imprenditori locali che possono essere interessati agli appalti della pubblica amministrazione, accordo immancabilmente garantito da un gruppo mafioso. Secondo questo accordo, una sola azienda partecipa ad una gara d'appalto, aggiudicandosela senza dover praticare ribassi. Alla gara successiva prenderà parte un'altra azienda, anch'essa da sola, che verrà così risarcita per essersi astenuta dalla precedente. In seguito toccherà a turno alle altre ditte, finché non avranno avuto tutte la loro parte. Ovviamente esistono diverse varianti di questo meccanismo che lo rendono ben più difficile da individuare, per esempio la partecipazione di più aziende con ribasso concordato per favorire quella che deve vincere la gara, ecc.

Dagli utili extra dell'azienda vincitrice (che non necessariamente è quella che poi eseguirà effettivamente i lavori) verranno prese le quote per il capomafia che ha garantito lassegnazione dellappalto, per i funzionari compiacenti, per i politici che hanno fatto ottenere l'appalto. Per quanto riguarda linfluenza della mafia sulle opere pubbliche cè da dire , inoltre, che la realizzazione del ponte di Messina (che sarà, se verrà costruito, una delle opere più importanti del mondo) rappresenta una grandissima fonte di guadagno per le organizzazioni mafiose, in termini di profitto ma soprattutto di potere, il quale è stato da sempre la ragion dessere della mafia. L'intreccio economia-mafia coinvolge anche altri settori produttivi, soprattutto il commercio, l'edilizia, il credito. Il settore creditizio in particolare ha avuto un ruolo cruciale: il controllo politico di grandi istituti bancari regionali come il Banco di Sicilia e la Sicilcassa ha favorito i grandi gruppi industriali partecipanti al perverso intreccio triangolare tra politica-mafia-imprese, a favore degli imprenditori collusi e parassitari, e a danno della piccola e media impresa. Il credito politicamente condizionato ha portato nel corso del tempo questi istituti a situazioni di grave sofferenza bancaria, che oggi, anche dopo l'intervento delle forze dell'ordine ed i cambi di gestione, costringono ad una politica di estrema prudenza nella concessione dei crediti e di rifiuto del rischio d'impresa, a ulteriore danno dell'imprenditoria sana. Specialmente nel settore del commercio al dettaglio, la restrizione del credito ha gettato non pochi operatori nelle braccia dell'usura (problema di cui fa menzione Tano Grasso nel suo libro intitolato U Pizzu e per il quale sono state prese adeguate contromisure, ovvero nuove forme di credito fiduciario).

L'intreccio mafia-imprese-politica ha portato conseguenze estremamente negative per la crescita economica della Sicilia, specie nel lungo termine. Ricadute negative sono state:


- la mancanza di programmazione nella realizzazione di infrastrutture, per cui le strade, per esempio, non sono state realizzate dove servivano effettivamente, ma nei territori controllati dai gruppi mafiosi e/o nei quali si trovavano le imprese di costruzioni colluse;

- il mancato completamento di opere pubbliche (autostrade, acquedotti, viabilità locale, dighe, reti di trasporto urbano) che avrebbero potuto a loro volta, se ultimate, essere fattori di sviluppo economico e sociale;

- la realizzazione di infrastrutture di bassissima qualità, che richiedono interventi costosi e continui di manutenzione e comunque non garantiscono una funzionalità piena (in alcuni casi, si tratta di opere pressoché inutilizzabili);

- la creazione di un'economia "drogata", basata, non sulla capacità imprenditoriale e la competitività delle aziende, ma sulla negoziazione segreta tra imprenditori, mafiosi e politici, totalmente dipendente dal denaro pubblico e suscettibile di crollare non appena tale denaro venga a mancare;

- la nascita di aziende "false", incapaci di sopravvivere al di fuori del mercato "drogato", che producono beni e servizi a prezzi gonfiati e di poca o nessuna competitività; aziende che inoltre, nel momento in cui vengono sequestrate, non è possibile piazzare sul mercato, e creano seri problemi occupazionali.

Occorre prendere ,inoltre, in esame quella che è stata la politica dell'intervento dello Stato per innescare lo sviluppo del Mezzogiorno,cercando di far uscire l'economia locale dalla stagnazione. Nella valutazione degli effetti della politica di intervento pubblico sul Mezzogiorno è il caso di fare dei distinguo.

Se nel lungo periodo e con specifico riguardo ad alcuni aspetti sociali è innegabile un effetto di tipo positivo (aumento del reddito, infrastrutturazione), non si può d'altra parte negare che l'intervento pubblico abbia avuto un peso significativo anche in termini di crescita economica delle attività criminali. Più in generale, esso non è riuscito a liberarsi del carattere assistenziale e strumentale di un'azione nei fatti incapace di determinare esiti di sviluppo autopropulsivo.Il problema è, ancora una volta, quello del rapporto tra sistema politico e criminalità organizzata: si tratta di un rapporto intenso nel passato ed ancora presente, fondato su una omogeneità di interessi (da una parte, l'accumulazione di consenso sociale ed elettorale e dall'altra l'accumulazione di risorse economiche ed il potere) tra due sistemi che si sono integrati in una varietà di forme, dalla compenetrazione organica allo scambio permanente od occasionale. Tale compenetrazione avrebbe una lunga storia alle spalle: c'è addirittura chi la fa risalire agli ultimi anni del feudalesimo, del quale la personalizzazione perversa dei rapporti politici nell'isola sarebbe tutto sommato la prosecuzione. Per quanto riguarda le modalità del rapporto, il modello prevalente sembra essere quello della negoziazione tra due sistemi (quello politico e quello criminale) peraltro indipendenti: il politico "acquista" voti e il boss mafioso li offre. Non di rado accade che un boss, insoddisfatto delle offerte di un politico in termini di protezioni, appalti, ecc., entri in trattative anche con altri candidati, dividendo poi tra 2-3 di essi il pacchetto di voti che controlla. E' difficilmente credibile, data la segretezza del voto, che la compravendita di voti in Sicilia si sia basata o si basi su un meccanismo intimidatorio. Essa probabilmente funziona grazie ad una rete di interessi comuni: l'elettore che vota secondo le indicazioni del boss o dei suoi associati non lo farebbe per paura, ma per convenienza personale (scambio di favori, aspettativa di benefici, affari in comune, ecc.).Certo è che, al momento attuale, la situazione sembra per molti aspetti in una fase interlocutoria: numerosi segnali fanno sospettare la ricerca di nuove alleanze tra organizzazioni criminali e forze politiche e non sono ancora chiari i possibili assetti del futuro. Del resto è vero che, parallelamente al terremoto portato sull'isola dai fatti del '92, dal '93, si è avuta una ridistribuzione notevole del voto su base nazionale, che ha interessato anche l'isola. Nuovi soggetti politici e nuovi equilibri hanno obbligato i gruppi criminali a rivedere le loro strategie elettorali. Nel discorso più generale dell'intervento pubblico in Sicilia, un capitolo a parte è rappresentato dal rapporto problematico con la pubblica amministrazione, e con la Regione siciliana in particolare, accusata da più parti di rappresentare un modello di rapporti clientelari e di sudditanza non in grado di sviluppare funzioni positive di servizio per le imprese e i cittadini e caratterizzata da un'inefficienza funzionale allo sviluppo di forme di mediazione gestite dall'esterno da più soggetti, tra cui le organizzazioni mafiose.

BIBLIOGRAFIA

Tano Grasso, "U pizzo"

Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, "Cose di Cosa Nostra"

www.siciliano.it

www.news2000.libero.it

www.svileg.censis.it (sito principale)

lavoro di ricerca di Gaetano Di Stefano

martedì 21 luglio 2009

Riflettiamo


"La speranza di questi ragazzi è ora di non abbassare mai la testa. La pistola che è sfuggita di mano alla mafia è la cultura."
Felicia Bortolotta Impastato madre di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9, 5, 1978


"La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere nella nostra bellissima terra e disgraziata. Non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le nostre giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse: La gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dava al lavoro del giudice, significava qualcosa di più, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche svegliando le coscienze".
Paolo Borsellino


"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e, come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere, non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni"
Giovanni Falcone


"Purtroppo i giudici possono agire solo in parte nella lotta alla mafia. Se la mafia è un'istituzione antistato che attira consensi perchè ritenuta più efficiente dello Stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso, formando giovani alla cultura dello Stato e delle istituzioni."
Paolo Borsellino

domenica 19 luglio 2009

BRAVERIA


"Per avere un'idea di che cosa fosse in origine la mafia, basta pensare alle considerazioni che il Manzoni, nei "Promessi Sposi", svolge sul fenomeno della braveria. Sgherri del tipo dei bravi, al servizio degli interessi e dei capricci dei nobili, in Sicilia furono i prototipi dei mafiosi.
In Lombardia, caduto il dominio spagnolo e subentrato quello austriaco, attraverso riforme sociali e trasformazioni economiche, e soprattutto grazie alla correttezza dei funzionari statali e quindi di tutto l'apparato amministrativo dello Stato, la braveria fu naturalmente eliminata dal corpo sociale.
In Sicilia, perdurando le condizioni del dominio spagnolo anche quando gli spagnoli non ci furono più, resistendo le strutture sociali della feudalità (e, per di più, di una feudalità piena di puntigli, avida di privilegi, rissosa, anarchica), quella che in origine era braveria diventò nel tempo quella che oggi conosciamo come mafia".
Così Leonardo Sciascia parla della mafia in un'intervista pubblicata su "Liberation", il 30 dicembre 1976