domenica 30 maggio 2010

Mafia ed usura

Lavoro di ricerca ed approfondimento di Carlotta Spata

In passato la mafia era riluttante nei confronti dell'usura, che rimaneva pressoché estranea alle famiglie mafiose, che la consideravano unattività non adatta ad un uomo donore, che, anzi, spesso nel quadro di una politica populistica, tendente a dare di sé unimmagine inattendibile alla Robin Hood, difendeva le vittime dell'usura esercitando pressioni sugli usurai.

Oggi invece sempre più spesso elementi anche di spicco di Cosa Nostra si interessano a questa attività, allacciandosi ad operazioni di lavaggio di capitali sporchi. Pertanto le associazioni mafiose, attraverso anche a fenomeni come lusura e le estorsioni, sono riuscite nel tempo e deturpare i mercati locali appropriandosi illegalmente di un sempre maggior numero di imprese,acquisite quasi sempre con dei prestanome, cioè con una proprietà nominalmente fittizia, per cui risultano proprietari di aziende di ogni tipo e con qualsivoglia giro daffari disoccupati, casalinghe e pensionati il cui reddito è ben lontano dalla loro presunta proprietà.

Di sicuro è il possesso da parte delle famiglie mafiose di un enorme liquidità ad aver spinto le suddette organizzazioni criminali ad approfittare del prestito usuraio per riciclare e al contempo perché no a moltiplicare il denaro, ricorrendo spesso anche alla violenza per sottomettere le vittime ai propri interessi. Inoltre, i mafiosi, spesso favoriti dalle buone relazioni con alcuni istituti di credito bancario e ben inseriti nel tessuto economico in generale, sono facilitati nella ricerca di informazioni utili per selezionare e tenere sotto ricatto gli usurati. Tutto ciò aiuta a capire meglio come mai questa piaga, così diffusa nel nostro paese, sia divenuta primaria nellopera delinquenziale di siffatte organizzazioni criminali

Il business della mafia


lavoro di ricerca ed approfondimento di Spata Carlotta

L'usura in Italia non è riconducibile a un'area geografica particolare. Non è la riserva di nessuno. In una stessa zona possono esserci varie forme di strozzinaggio. L'antico sordido usuraio di quartiere, il cosiddetto cravattaro, il cui prototipo ha riempito tante pagine dei grandi romanzi dell'Ottocento è divenuto ai nostri giorni ben altro: un insospettabile professionista, che ha scelto un investimento particolarmente lucroso affidando parte dei suoi risparmi non alle banche, come sarebbe lecito, non ad investimenti borsistici o quantaltro è lecitamente previsto nella nostra economia capitalista per far fruttare il capitale attraverso gli investimenti, ma ad un usuraio, che impiega nel losco traffico i soldi, o, addirittura, il nostro insospettabile professionista presta il danaro direttamente a conoscenti e colleghi di lavoro, in cambio di solide garanzie e di tassi dinteresse fuori da ogni regola; il cravattaro si è trasformato nellapparire ma lessere è sempre lo stesso: sono entrambi delinquenti, uomini di malaffare.
E la mafia?[...] I mafiosi hanno sempre detto di non praticare l'usura, ma dietro questa petizione di principio si nasconde un'ipocrisia: i cosiddetti "uomini d'onore" prestano a strozzo e l'organizzazione lo tollera, magari nascondendolo a volte vergognandosene un po'. Ma la praticano, eccome. In modo più ampio e diffuso di quanto si creda.
Naturalmente l'usura praticata dagli "uomini d'onore" non deve mai entrare in contrasto con gli affari della mafia. Gli usurai non vengono tollerati quando c'è questo pericolo. Non è loro consentito prendere tanto spazio da creare allarme sociale. E chi pratica l'usura senza essere parte delle famiglie mafiose ma trovandosi nelle zone ad alta densità mafiosa, non può illudersi che quei quattrini possano essere esenti dal pizzo.
Giovanni Brusca in Ho ucciso Giovanni Falcone, libro firmato da Saverio Lodato, racconta: "Sotto sotto" erano un bel po' gli "uomini d'onore" che praticavano l'usura". A un suo amico usuraio Brusca disse: "Smettila o ti ammazzo. Smise subito: ma dopo si lamentava dicendomi che gli dovevano dare ancora un sacco di soldi. Gli risposi: Ti scasso tutto, ti rompo le ossa. Se vuoi essere mio amico devi smetterla. Vuoi essere mio amico? Sì? Allora smettila. Io non ne voglio usurai con me. Capitava infatti - conclude Brusca - che qualche poveraccio veniva da noi a lamentarsi di qualche strozzino. Allora si interveniva e si diceva: Facciamogli una tagliata, il che voleva dire costringere l'usuraio ad accontentarsi della semplice restituzione del capitale".
La mafia vuole regnare sovrana, non rinuncia mai a imporre norme che regolamentino gli affari e a contenere le tensioni sui propri territori. Ed impone sempre il rispetto delle regole. In numerosi procedimenti s'è accertato che anche i mafiosi che praticano usura pagano, come tutti gli altri imprenditori del quartiere o della zona, il pizzo alla cosca che controlla il territorio su cui l'usura s'è consumata. Disciplinatamente,. Ci sono poi gli usurai non mafiosi, titolari di una normale attività economica, commercianti che prestano a strozzo e, contemporaneamente pagano alla mafia con regolarità il pizzo sulle proprie attività lecite. La mafia tende a considerarli "a protezione limitata".
Ci fu una rapina presso una gioielleria di Palermo in un quartiere dove la cosiddetta protezione la pagavano tutti. Qualche giorno dopo - il gioielliere aveva protestato col suo protettore - una parte della refurtiva fu restituita al legittimo proprietario. Una parte soltanto, però. L'altra, venne spiegato al commerciante, di cui la mafia ben conosceva lattività parallela di usuraio, faceva parte del prelievo della "famiglia" sui profitti d'usura non dichiarati.
Anche in Calabria, nel Reggino soprattutto, gli uomini della 'ndrangheta non disdegnano l'usura. Non ne hanno l'esclusiva: convivono con usurai non 'ndranghetisti, né l'usura viene mai praticata come attività precipua della cosca, ma gli affiliati, per conto loro, ci si buttano per tirar su quattrini e lo fanno senza pregiudizi. In questo contesto malavitoso estorsione e usura convivono tranquillamente. Talvolta si danno anche una mano per cui può capitare che lo stesso operatore economico sia taglieggiato dall'estorsione e perseguitato dall'usuraio. Due volte vittima di personaggi non legati tra loro, ognuno dei quali, all'occorrenza, fa ricorso all'altro. E se la vittima sta diventando a rischio, nel senso che potrebbe non "onorare" più gli impegni assunti col "normale" usuraio? Quest'ultimo invoglia il suo "cliente" a rivolgersi a un suo amico in grado di prestargli ancor più soldi . E il dramma è scoprire che il nuovo protagonista è legato allorganizzazione mafiosa. E' quella che si chiama un'usura di secondo livello: più alto è il rischio d'insolvenza più alta deve essere la capacità di intimidire. La 'ndrangheta lascia fare. Anche lei può aver bisogno: l'usurato che non restituisce può diventare una "testa di legno", cioè un prestanome per gli affari della cosca, da usare per gestire e ripulire denaro e capitali sporchi.

martedì 4 maggio 2010

Giornalisti

Ieri è stata una giornata importante per l'informazione (e noi in Italia abbiamo bisogno di giornalisti con la schiena dritta). Ieri, in Lombardia, si è voluto ricordare le troppe vittime tra i giornalisti, vittime del terrorismo, vittime della guerra, vittime della mafia, vittime per aver cercato di fare con dignità professionale il proprio lavoro.

Un ricordo per Giancarlo Siani, un ricordo per Walter Tobagi, un ricordo per Ilaria Alpi, un ricordo per Enzo Baldoni, un ricordo per tanti, troppi eroi, non sempre riconosciuti come tali.

Ma un particolare ricodo agli 8 (otto, capite?) giornalisti uccisi dalla mafia:

Cosimo Cristina, ucciso a 24 anni, nel 1960, fu simulato un improbabile suicidio e la chiesa rifiut; di celebrarne i funerali religiosi,

Mauro De Mauro, rapito, ucciso nel 1970 e mai più fatto ritrovare,

Giovanni Spampinato, ucciso nel 1972 a 25 anni,

Giuseppe, Peppino Impastato, fatto saltare in aria con una carica di tritolo per simulare l'attentato terroristico nel 1978, a 30 anni,lo stesso giorno in cui fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro assassinato dalle "brigate rosse",

Mario Francese, ucciso nel 1979 a 54 anni,

Giuseppe, Pippo Fava, ucciso nel 1984, a 59 anni,

Mauro Rostagno, ucciso nel 1988 a Trapani, lui che siciliano non era, ma che, come Danilo Dolci era venuto in Sicilia per riscattare i tanti, troppi, che della Sicilia sono vittime,

e Giuseppe, Beppe Alfano, assassinato nel 1993 a 58 anni.

No, non permettiamo a nessuno di ucciderli nuovamente dimenticandoli.